Questo doveva essere un post da pubblicare in concomitanza con la ricorrenza italiana del 25 aprile. Dato che le cose da fare sono sempre state tante e non sono riuscito a terminarlo prima, sarebbe probabilmente caduto nel dimenticatoio, se non fosse che, pochi giorni fa, mi sono accorto che sono già passati 48 anni dalla morte del dittatore Chiang Kai-shek (蔣介石).
Eppure, anche a distanza di quasi mezzo secolo, quella enorme statua di Chiang Kai-shek all’interno del memoriale omonimo in pieno centro di Taipei continua a restare lì indisturbata. A mio avviso — e non solo a mio avviso, se, per esempio, uno dei miei colleghi taiwanesi ha detto che lo ferisce, ogni volta che prende la metro, sentire gli altoparlanti scandire il nome della fermata “Monumento commemorativo a Chiang Kai-shek” (中正紀念堂) — a mio avviso, dicevo, quel monumento rappresenta uno sfregio alla memoria di tutte le persone massacrate durante quello che eufemisticamente viene chiamato “incidente” del 28 febbraio 1947 (un vero e proprio massacro), e di quelle uccise durante i decenni della legge marziale, e ovviamente ai loro famigliari sopravvissuti.
Nel massacro del 28 febbraio 1947, vennero uccise tra le 18.000 e le 28.000 persone. Ho parlato di questo evento qui, e anche nel mio post dell’anno scorso sulla mia visita a Jinguashi (金瓜石) e Jiufen (九份). Nel successivo periodo di circa quarant’anni, conosciuto con il nome di terrore bianco, durante il quale venne imposta la rigida legge marziale, circa 140.000 Taiwanesi furono imprigionati con trattamenti brutali, e molti morirono indirettamente o soffrirono di vari problemi di salute. Circa 3.000-4.000 persone furono giustiziate senza processo per la loro reale o presunta opposizione al governo di Chiang Kai-shek e del suo Partito Nazionalista Cinese, o Kuomintang (fonte qui).
Cosa centra tutto ciò con il 25 aprile? Beh, la ricorrenza italiana del 25 aprile mi ha spinto a polemizzare contro la retorica della democrazia, molto pervasiva qui a Taiwan, soprattutto sotto l’attuale governo.
Detto en passant vorrei aggiungere che, da quando sono qui, divento sempre più consapevole — e di conseguenza, sempre piu insofferente — della propaganda e della retorica che viene sparata da entrambe le parti, sia dal cosiddetto campo liberal-democratico, che da quello autoritario.
Come mai, in un Paese democratico, vi sia ancora un tale monumento a un dittatore sanguinario morto ormai mezzo secolo fa, mi sfugge. Forse sarebbe giunto il momento per il governo e per la società taiwanese di fare i conti con il passato, e disfarsi di quel pesante residuo del regime dei Chiang e del Kuomintang.
In Italia spesso ci flagelliamo e gridiamo al fascismo per molto, molto di meno, ad esempio per quattro coglioni che una volta all’anno sfilano a Predappio, o perché una politicante ininfluente e irrilevante porta lo stesso cognome del nonno. Ma vi immaginate se in pieno centro di Roma ci fosse un mausoleo o una statua di Mussolini o una fermata della metro che portasse il suo nome?
In un qualsiasi altro Paese democratico, perfino nella tanto bistrattata Italia, ciò sarebbe impensabile. Ma, a quanto pare, ciò non vale per i dittatori dell’altra parte del mondo.